Lazio

Schiacciato da un’immagine che lo vuole produttore di facili vini bianchi, il Lazio non riesce ancora a dare una personalità definita alla propria produzione enologica, pagando questa mancanza di visibilità con una costante e sensibile riduzione delle superfici vitate. Ma qualcosa si muove positivamente, a partire dai Castelli Romani. Il Lazio è considerato una regione poco rilevante dal punto di vista enologico, ma se si sposta l’attenzione sul vino quotidiano le sorprese non mancano, a cominciare dalle Docg Frascati Superiore e Cesanese del Piglio, le Denominazioni più valorizzate. Vi sono alcuni elementi di criticità dovuti al recente passato: una quantità eccessiva di Denominazioni rispetto agli ettari vitati, con una frammentazione che non ha consentito di offrire una massa critica utile a sfruttarne le potenzialità e a raggiungere un’adeguata visibilità; in secondo luogo, le Cantine sociali hanno a lungo operato in regime quasi monopolistico, non facilitando la nascita di nuove realtà produttive. In assenza di un progetto generale di rinascita e di rinnovamento di impianti, vigneti e strutture produttive, oltre che di comunicazione nei confronti dei consumatori, i pochi produttori d’eccellenza faticano a imporre un’identità regionale ai vini del Lazio e restano ancora piuttosto isolati. Tuttavia parliamo di una regione con il 54% del territorio costituito da colline, con una tradizione vitivinicola millenaria e un potenziale non sfruttato sia in termini di varietà autoctone sia di mercato, considerando anche solo Roma e il suo circondario. C’è quindi ancora molta strada da fare, ma gli elementi per una viticoltura importante ci sono tutti: dai milioni di bottiglie prodotte nell’area dei Castelli Romani, la cui qualità media sta lentamente migliorando, al recupero di questo mestiere come attività redditizia in altre province, al perfezionamento di vini che vadano a competere con i grandi d’Italia.

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